HIV è il nome di un virus che colpisce il sistema immunitario del corpo umano, quest’ultimo responsabile della difesa dalle infezioni. L’Hiv è un virus e fino a quando non assume le forme della malattia conclamata non dà alcun sintomo. Se una persona non inizia in tempo la terapia per l’HIV va incontro ad un rapido indebolimento delle proprie difese immunitarie. Le persone con HIV che assumono con regolarità la terapia riescono a mantenere sotto controllo l’infezione da HIV, e quindi mantenere in buone condizioni il proprio sistema immune e avere una buona qualità di vita.
Che cos’è l’AIDS?
HIV e AIDS non sono la stessa cosa! Il virus dell’HIV uccide le cellule che normalmente ci proteggono dalle infezioni, andando ad attaccare il nostro sistema immunitario, e quindi causando una immunosoppressione. Man mano che l’infezione da HIV va avanti senza l’intervento di un’adeguata terapia, i linfociti (le cellule che normalmente intervengono per difenderci dalle infezioni più comuni) iniziano a ridursi. Se non trattato, l’HIV uccide talmente tanti linfociti da consentire a determinate infezioni, che sono state catalogate e definite come “opportunistiche” (proprio perché si approfittano di una situazione di immunosoppressione), di colpire l’organismo umano. Quando una di queste “infezioni opportunistiche” si presenta si parla di AIDS, o “sindrome da immunodeficienza acquisita”. Con le moderne terapie per l’HIV però oggi l’AIDS sta diventando un evento sempre più raro nella vita di una persona con l’HIV, soprattutto se la diagnosi viene fatta tempestivamente e si inizia una terapia efficace.
Perchè si dice “sieropositivo”?
La persona che ha contratto l’infezione da HIV viene anche definita “sieropositiva”, in quanto è risultata positiva al test che rileva gli anticorpi per l’HIV. Affermare che una persona sieropositiva è affetta dall’AIDS è sbagliato!
Come si trasmette l’HIV?
L’HIV si può trovare nei fluidi corporei di una persona infetta, come ad esempio sangue, liquido seminale o pre-seminale, mucosa anale e vaginale, o nel latte materno. Per potere trasmettere l’infezione deve avvenire un contatto diretto tra i fluidi sopraindicati di una persona infetta e il sangue o le mucose di una persona sieronegativa.
Il virus dell’HIV può trasmettersi attraverso rapporti sessuali non protetti, ovvero senza il preservativo, con una persona sieropositiva.
Esistono pratiche sessuali maggiormente a rischio?
Si. Il sesso anale è il più rischioso in quanto la mucosa anale è più delicata ed è più soggetta al sanguinamento; inoltre la mucosa dell’ano ha una concentrazione maggiore di cellule macrofagiche, che possono essere infette o essere maggiormente ricettive all’ingresso del virus.
L’HIV è un problema che riguarda solo gli omosessuali?
Assolutamente no! Esiste un orribile pregiudizio che ancora oggi fa fatica ad essere distrutto e che è quello che lega l’HIV all’omosessualità. Bisogna però ricordare che praticare sesso anale è al giorno d’oggi la modalità maggiormente associata alla trasmissione dell’HIV in Europa.
Il sesso orale è rischioso?
Il rischio di contrarre l’HIV con il sesso orale è molto basso ed è considerato non significativo da un punto di vista clinico. Il rischio aumenta se ad esempio vi sono delle ferite aperte e sanguinanti sulla zona genitale, oppure sono presenti ferite in bocca (ad esempio gengive sanguinanti).
Una donna in gravidanza può trasmettere il virus dell’HIV al figlio?
Una delle modalità di infezione è la trasmissione materno-fetale, che può avvenire durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. Il rischio può essere alto se la donna sieropositiva non assume la terapia per l’HIV.
Come NON si trasmette l’HIV?
L’HIV non si trasmette con i baci, con le strette di mano, con le carezze e gli abbracci. Il petting non trasmette l’HIV, ma se usi giocattoli sessuali (sex toys) è opportuno coprirli con preservativo nuovo. Non vi è alcun rischio di contrarre l’HIV condividendo lo stesso bagno o frequentando la stessa piscina, mangiando alla stessa tavola e condividendo bicchieri, piatti e posate. L’HIV non si può sopravvivere nell’aria, quindi tosse, starnuti o sputi non possono trasmettere l’HIV. L’HIV non si trasmette attraverso le punture degli insetti, e nemmeno attraverso il morso degli animali domestici.
Quali sono i sintomi dell’HIV?
Una persona che contrae per la prima volta l’HIV può manifestare inizialmente febbre, cefalea, dolori muscolari e articolari, mal di gola, eruzioni cutanee, ingrossamento delle ghiandole (linfoadenopatie). In alcuni casi l’infezione da HIV non genera alcun sintomo, in altri casi si manifesta una sintomatologia acuta che insorge dopo 4-30 giorni dal contagio e che può durare da 1 a 3 settimane.
Presi singolarmente questi sintomi sono abbastanza specifici, ma la loro insorgenza deve far sospettare il paziente, soprattutto se ci sono stati dei comportamenti a rischio per l’HIV.
Esiste un test per diagnosticare l’HIV?
Si. Per documentare l’avvenuta infezione da HIV è necessario effettuare un test specifico su sangue, il test per l’HIV (test ELISA). Il test per l’HIV è in grado di rilevare la presenza di anticorpi specifici del virus. Un test ELISA positivo deve essere sempre confermato da un ulteriore test (Test Western Blot).
Il test per l’HIV ELISA che si può eseguire il qualsiasi momento, non occorre essere digiuni e il risultato viene fornito entro 48-72 ore. Il test per l’HIV è assolutamente gratuito e può anche essere eseguito in anonimato (fornendo le proprie iniziali e la data di nascita).
Che cosa è il periodo finestra dell’HIV?
Gli attuali test HIV definiti ELISA o EIA rilevano gli anticorpi anti-HIV nel sangue (o nel caso dei test rapidi, nella saliva). Nelle prime settimane dopo una possibile esposizione l’organismo non ha ancora iniziato a produrre gli anticorpi contro l’HIV: questo è il cosiddetto “periodo finestra”, durante il quale il virus dell’HIV è già presente nel sangue ma non è avvenuta la sieroconversione, ovvero ancora non sono presenti gli anticorpi anti-HIV. Durante tale periodo un eventuale test HIV potrebbe risultare negativo sebbene si sia stati infettati e si sia capaci di trasmetterlo. Il periodo finestra dura mediamente 4-6 settimane, nel caso di test ELISA di terza generazione; 22 giorni, secondo i CDC di Atlanta e secondo l’FDA, con i test ELISA attualmente in uso nella maggior parte dei laboratori, ovvero i test COMBO di quarta generazione. Ricorda che si tratta sempre di stime di tempo medio, ciò significa che nella maggior parte dei casi questi sono i tempi, ma in alcuni casi potrebbero protrarsi fino a tre mesi. Oggi esistono test precoci per determinare la positività all’infezione da HIV (test di quarta generazione, test combinati antigene/anticorpo) che consentono di ridurre il più possibile questo periodo finestra. I test di quarta generazione cercano non solo gli anticorpi contro l’HIV, ma proteine strutturali del virus che possono essere rilevabili nel sangue anche durante le prime settimane dopo l’infezione, prima della comparsa della risposta immunitaria con produzione di anticorpi.
Vorrei fare il test dell’HIV ma ho paura del risultato. Cosa devo fare?
Cerca di dimenticare l’imbarazzo: fare il test HIV è un gesto di responsabilità, prima di tutto nei confronti di te stesso. Prima si scopre di avere l’HIV è meglio è, per tanti motivi. Innanzitutto perchè iniziando subito la terapia puoi condurre una vita normale al pari di quella di una persona che non ha l’HIV. Inoltre perchè metti in atto una strategia di prevenzione positiva, ovvero eviti che l’infezione da HIV possa essere trasmessa ad altri. Tutto ciò è da tenere a mente quando talvolta si rimanda o ci si rifiuta di fare il test perchè si preferisce “non sapere”.
Esiste una cura per l’HIV?
Ad oggi non è ancora disponibile una cura per eradicare l’HIV.
Il trattamento con le moderne terapie consente di ridurre la quantità di virus nel sangue, nello sperma, nelle secrezioni vaginali e rettali, e di conseguenza riduce significativamente anche il rischio di trasmissione dell’HIV ad altre persone. Se la terapia è efficace, la quantità di virus è talmente ridotta da eliminare completamente il rischio di trasmissione dell’Hiv per via sessuale. Le moderne terapia hanno trasformato l’HIV in una condizione cronicizzata e gestibile.
Grazie alle moderne cure, che nella maggior parte dei casi sono raccolte in un’unica pasticca da prendere una volta al giorno, la prospettiva di vita di una persona con l’HIV è assolutamente paragonabile a quella di una persona sieronegativa. Ciò significa che un ragazzo che contrae l’HIV e si sottopone subito alla terapia avrà la stessa prospettiva di vita di un suo coetaneo, anche in termini di migliore qualità della vita.
Esiste un vaccino contro l’HIV?
Ad oggi non esiste ancora un vaccino HIV efficace, ma ci sono molti progetti di ricerca e studi clinici che stanno portando avanti la creazione di un vaccino.
Cos’è la profilassi pre-esposizione?
La Profilassi Pre-Esposizione (detta anche PrEP) consiste nell’assunzione preventiva di alcuni farmaci già da tempo utilizzati nel trattamento dell’HIV in presenza di un rischio significativo di contrarre l’HIV. Tutto ciò al fine di ridurre il più possibile il rischio di contrarre l’infezione da HIV.
Ad oggi l’unico farmaco approvato per la PrEP è una coformulazione che contiene due princìpi attivi, Tenofovir ed Emtricitabina. In Italia è disponibile anche l’equivalente generico.
Posso assumere la PrEP?
Se sei sieronegativo e non sempre utilizzi il preservativo o ritieni di avere comportamenti che potrebbero esporti al rischio di contrarre l’HIV, allora potresti essere candidato alla PrEP.
La PrEP è indicata infatti per le persone che corrono un rischio sostanziale di contrarre l’HIV. Ad esempio persone che non usano mai il preservativo o lo fanno in modo sporadico, o persone che hanno avuto una IST (un’infezione sessualmente trasmessa), o ancora chi utilizza abitudinariamente sostanze psicoattive ricreative durante i rapporti sessuali (il cosidetto chemsex) che possono condurre a comportamenti a rischio. Prima di iniziare una PrEP occorre eseguire un test HIV. Infatti la PrEP può essere assunta solo se si è HIV negativi.
La PrEP non è necessaria invece se la persona HIV negativa ha rapporti esclusivamente con una persona HIV positiva che assume regolarmente la terapia antiretrovirale efficace e che ha una viremia non rilevabile. Infatti, chi assume regolarmente la terapia antiretrovirale contro l’infezione da HIV non trasmette l’HIV. In questo caso si parla di TasP (dall’inglese Treatement as Prevention), ovvero della terapia come prevenzione.
Cos’è l’epatite virale?
L’epatite è un’infiammazione del fegato causata da specifici virus che colpiscono preferenzialmente le cellule del fegato (e per tale motivo detti epatotropi). Ogni virus ha una sua modalità di trasmissione ed epidemiologia. Sono responsabili di epatite acuta almeno 5 virus specifici, contraddistinti dalle lettere dell’alfabeto, dalla A alle E. E’ importante sapere che le epatiti non sono causate solamente dai virus, ma possono insorgere anche in seguito al consumo cronico di alcool, a causa di alcune tossine, farmaci e alcune condizioni mediche.
Che differenza c’è tra epatite A, epatite B e epatite C?
L’epatite A è una malattia virale che si trasmette attraverso il consumo di cibi e bevande contaminati, o attraverso il contatto diretto con persone infette che eliminano il virus per via fecale. L’epatite A è diffusa in tutto il mondo, anche in forma epidemica. L’epatite A si distingue dall’epatite B e C sia per la modalità di trasmissione (oro-fecale), sia per l’evoluzione, in quanto non cronicizza. Nei bambini l’epatite A spesso non causa alcun sintomo. Negli adulti determina una malattia simil-influenzale che inizia improvvisamente all’incirca dopo un mese dall’infezione. Inizialmente i sintomi includono sensazione di stanchezza, nausea o vomito, mancanza di appetito e febbre. Successivamente i sintomi includono la comparsa di ittero (la pelle e la sclera dell’occhio assumono una colorazione giallastra), produzione di urine scure e di feci chiare. L’epatite A viene diagnosticata mediante un esame del sangue. Nella maggior parte dei casi la malattia evolve spontaneamente con la guarigione. Non esiste una cura per l’epatite A, ma occorre osservare alcune regole importanti come evitare l’uso di bagni comuni (in quanto con le feci vengono eliminate milioni di particelle virali che sono contagianti), evitare di assumere alcool e farmaci che possano gravare sul fegato. L’epatite A può essere prevenuta tramite la vaccinazione, che viene consigliata in particolar modo a categorie di soggetti con condizioni patologiche a rischio (soggetti con epatopatie croniche sottostanti, pazienti con coagulopatie, tossicodipendenti, soggetti a rischio per soggiorni in aree endemiche, pazienti HIV).
Cos’è l’epatite B?
L’epatite B è una malattia del fegato che può cronicizzare e portare nel tempo alla cirrosi e infine al tumore epatico. Si trasmette per via parenterale, cioè attraverso l’esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei come sperma e liquidi vaginali. L’epatite B può anche essere trasmessa per via verticale, ossia dalla madre infetta al nascituro. La trasmissione tramite le trasfusioni di sangue è un evento estremamente raro, in quanto viene eseguito uno screening nei donatori anche per l’epatite B. L’epatite B provoca un’infezione acuta del fegato, che può evolvere verso 4 diverse forme, a seconda del sistema immunitario del paziente. Infatti può avvenire la completa guarigione con acquisizione dell’immunità, può verificarsi un’epatite fulminante con elevata mortalità (fino a richiedere il trapianto di fegato), o ancora evolvere verso una forma cronica con persistenza del virus nell’organismo con progressivo danno del fegato. Infine si può avere lo stato di portatore inattivo, in cui il virus persiste nel fegato senza provocare danno.
I sintomi dell’epatite B possono essere molto variabili. Dopo che una persona viene contagiata può sviluppare una forma simil-influenzale con febbre, dolore addominale, fatiga, riduzione dell’appetito, nausea e in alcuni casi colorazione giallastra della pelle e delle sclere (ittero). Tuttavia molti pazienti non sviluppano alcun sintomo, soprattutto se l’infezione si verifica nei bambini. La maggior parte delle persone con epatite cronica B non hanno alcun sintomo fintanto che non si giunge agli stadi più avanzati di danno epatico. Tra i sintomi più comuni in questi casi è l’astenia, ovvero la sensazione di debolezza. Per diagnosticare l’epatite B esistono una serie di test che vengono eseguiti su sangue, e che vanno a ricercare alcune componenti del virus o gli anticorpi diretti contro queste componenti. In passato veniva effettuata una biopsia epatica (attraverso un ago inserito nel fegato per prelevare un piccolo frammento di tessuto) per stabilire l’entità del danno causata dal virus, ma oggi esistono nuove metodiche non invasive che consentono di stabilire la progressione della malattia senza causare nocumento al paziente. Il rischio di sviluppare una forma cronica di epatite B varia in base all’età in cui si contrae l’infezione. La cronicizzazione avviene nel 90% dei bambini che vengono infettati alla nascita, nel 20-50% dei bambini che contraggono l’infezione tra 1 e 5 anni, e in meno del 5% delle persone che si infettano durante l’età adulta. Il rischio di sviluppare complicanze (cirrosi, scompenso epatico, tumore del fegato) dipende dalla velocità con cui il virus replica e da come il sistema immunitario riesce a controllare l’infezione. Il rischio di sviluppare complicanze in genere è più alto negli uomini rispetto alle donne, ed aumenta con l’età, ma anche con il consumo di alcool, o avendo contratto altre epatiti, o se il paziente è anche sieropositivo per HIV.
Fortunatamente esiste una cura specifica per l’epatite B, che è raccomandata per ridurre il danno epatico e limitare le complicanze a lungo termine. Inoltre esiste oggi anche un vaccino contro l’epatite B, che viene effettuato alla nascita o consigliato alle persone non precedentemente vaccinate e appartenenti a categorie a rischio per l’infezione da epatite B (soggetti sieropositivi per HIV, politrasfusi, affetti da altre epatopatie croniche, tossicodipendenti, etc).
Cosa è l’epatite C?
L’epatite C è una patologia che coinvolge il fegato causata da un virus, appunto chiamato virus dell’epatite C. Molte persone contraggono l’epatite C e non sanno di esserne affette. La trasmissione di questo virus avviene tramite il sangue. La via di trasmissione più comune è con lo scambio di aghi e/o siringhe. Fino al 1990 la trasfusione di sangue ha rappresentato un fattore di rischio per l’epatite C, in quanto il sangue non veniva routinariamente testato per questo virus. Altro fattore di rischio è il rapporto sessuale con una persona affetta da epatite C. Altre modalità di trasmissione sono la pratica di sottoporsi a tatuaggi o piercing con strumentazione non sterile, oppure condividendo strumenti da taglio (rasoi, forbici, etc) contaminati da sangue infetto. Una donna in gravidanza ha un rischio del 5% di trasmettere il virus al nascituro. Quando una persona contrae l’infezione, si sviluppa la cosiddetta infezione acuta. Alcune persone riescono a far fronte all’infezione e a debellarla attraverso il sistema immunitario, sebbene il 60-80% delle persone infette sviluppano una forma cronica. Ciò significa che il virus rimane nell’organismo, anche se il soggetto ne è inconsapevole. L’epatite C spesso si manifesta in maniera del tutto asintomatica o al massimo con sintomi poco specifici. Esistono due test per la diagnosi dell’epatite C, uno di questi avviene attraverso la ricerca degli anticorpi, l’altro test invece ricerca il genoma del virus chiamato RNA. I soggetti con infezione cronica avranno sia il test sierologico sia l’RNA positivo, mentre un test sierologico positivo con RNA negativo va interpretato come soggetto che ha eradicato l’infezione (per via naturale o dopo terapia). Dopo oltre un decennio in cui l’unica terapia per l’Epatite C disponibile era quella basata sulla duplice terapia interferone + ribavirina (terapia peraltro gravata da importanti effetti collaterali e basse percentuali di successo), negli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria rivoluzione per la cura di questa patologia. Oggi in Italia sono disponibili diversi farmaci e combinazioni terapeutiche, fornite in maniera gratuita da SSN a tutti i pazienti affetti da Epatite C. Con la disponibilità dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta, è oggi possibile curare la maggior parte dei pazienti a prescindere dallo stadio della malattia. Queste nuove terapie sono caratterizzate da un’elevata efficacia (percentuali di guarigione intorno al 98-99%) ma soprattutto con un profilo di sicurezza ottimale per il paziente, garantendo la guarigione nell’arco di 2-3 mesi. Ad oggi non esiste alcun vaccino contro l’epatite C.