Nonostante la disponibilità di potenti terapie antiretrovirali di combinazione (cART), le infezioni opportunistiche continuano a rappresentare un’importante causa di morbilità e mortalità in corso di infezione da HIV.

Le infezioni opportunistiche sono malattie croniche determinate dalla riattivazione endogena di microrganismi acquisiti in precedenza che nell’ospite immunocompetente solo eccezionalmente danno origine a malattia o dall’acquisizione esogena di agenti microbici abitualmente non patogeni; anche i tumori indicativi di AIDS (come il sarcoma di Kaposi, il linfoma cerebrale primitivo, i linfomi non-Hodgkine altri) hanno come principale meccanismo patogenetico le anomalie immunitarie innescate dall’HIV.

Una diagnosi di AIDS può essere posta in qualunque paziente con Infezione da HIV che presenti una conta di cellule T CD4+ < 200/µL o che sviluppi una delle malattie HIV-associate considerate indicative di un difetto dell’immunità cellulo-mediata e quindi chiamate AIDS-definenti.

 

Le malattie AIDS-definenti sono elencate nella classificazione dei CDC del 1993:

  • CANDIDOSI BRONCHIALE, TRACHEALE, POLMONARE
  • CANDIDOSI ESOFAGEA
  • CARCINOMA INVASIVO DELLA CERVICE UTERINA
  • COCCIDIOMICOSI DISSEMINATA
  • CRIPTOCOCCOSI , DISSEMINATA O EXTRAPOLMONARE
  • CRIPTOSPORIDIOSI INTESTINALE CRONICA (> 1 mese)
  • MALATTIA DA CMV (ECCETTO LOCALIZZAZIONE EPATICA, SPLENICA E LINFONODALE)
  • RETINITE DA CMV
  • ENCEFALOPATIA HIV-CORRELATA
  • HERPES SIMPLEX: ULCERE CRONICHE > 1 MESE O BRONCHITE, POLMONITE O ESOFAGITE
  • ISTOPLASMOSI, DISSEMINATA O EXTRAPOLMONARE
  • ISOSPORIASI INTESTINALE CRONICA (> 1 MESE)
  • SARCOMA DI KAPOSI
  • LINFOMA DI BURKITT
  • LINFOMA IMMUNOBLASTICO
  • LINFOMA CEREBRALE PRIMITIVO
  • MICOBACTERIUM AVIUM COMPLEX O M. KANSASI, DISSEMINATI O EXTRAPOLMONARE
  • TUBERCOLOSIS (SIA POLMONARE CHE EXTRAPOLMONARE)
  • POLMONITE DA P. JIROVECI
  • POLMONITI BATTERICHE RICORRENTI (2 O + EPISODI / ANNO)
  • PML
  • BATTERIEMIA RICORRENTE DA SALMONELLA
  • TOXOPLASMOSI CEREBRALE
  • WASTING SYNDROME HIV-CORRELATA

POLMONITE DA P. JIROVECI

Pneumocystis jiroveci (PJ) è un microrganismo originariamente classificato come protozoo in base alle sue caratteristiche morfologiche ed alla sensibilità ai farmaci antiprotozoari; da studi genetici più recenti sembra invece che PJ appartenga al genere dei funghi. È ubiquitario in natura.

Prima dell’introduzione della terapia antiretrovirale di combinazione (cART) la polmonite da PJ colpiva circa il 70-80% dei pazienti con AIDS e la mortalità raggiungeva il 20-40%.

Dall’introduzione della cART e della profilassi l’incidenza è diminuita drasticamente e adesso si attesta a <1 caso/100 persone in Europa e America. La maggior parte dei casi si registra in persone che non sono a conoscenza della loro sieropositività, in pazienti che non assumono terapia o in caso di forte immunodepressione (CD4 < 100 µL).

L’infezione si stabilisce quando il patogeno raggiunge gli alveoli polmonari, dove si replica come un parassita extracellulare (non invade le cellule o i tessuti).

L’interessamento dell’interstizio polmonare comporta una riduzione degli scambi gassosi, con conseguente riduzione della disponibilità di ossigeno per l’organismo.

La tipica sintomatologia d’esordio è data dalla presenza di febbre, tosse non produttiva e dispnea; sono solitamente presenti anche tachicardia, tachipnea ed a volte cianosi.

La radiografia del torace mostra un tipico quadro di polmonite interstiziale o alveolo-interstiziale; l’emogasanalisi mostra abitualmente una riduzione dell’ossigenazione del sangue arterioso. Questi parametri (quadro clinico, radiografia e ridotta ossigenazione del sangue) consentono, in un paziente HIV positivo con bassa conta di CD4, una diagnosi presuntiva di PCP (cioè senza la dimostrazione diretta dell’agente patogeno).

 

La diagnosi di certezza può essere fatta mediante ricerca diretta del PJ sull’espettorato con una sensibilità bassa (30-90%); la sensibilità aumenta se la ricerca viene eseguita sul liquido di lavaggio broncoalveolare dopo broncoscopia (98-100%) o con esame istologico di biopsia polmonare transbronchiale (90-95%).

Le tecniche di biologia molecolare possiedono elevate sensibilità e specificità.

Il farmaco di scelta è il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) alla dose di 15-20 mg/kg endovena o per via orale divisi in tre somministrazioni giornaliere per 21 giorni.

Nei quadri di insufficienza respiratoria moderato-severa è consigliato l’uso di corticosteroidi.

Nei pazienti con una conta di CD4 < 200 µL (o <14%), per prevenire l’insorgenza della polmonite da PJ, è raccomandato l’inizio di una profilassi con TMP-SMX 1 cpr/die; tale profilassi potrà essere interrotta al raggiungimento di una conta di CD4 > 200 µL per più di 3 mesi.

La profilassi primaria e secondaria va reintrodotta in ogni caso se i CD4 scendono sotto il valore di 200 µL.

COCCIDIOIDOMICOSI

È un’infezione provocata da Coccidioides immitis, fungo che può colpire l’uomo e gli animali, endemico in zone limitate degli Stati Uniti e dell’America centrale.

Nei pazienti con infezioni da HIV la coccidioidomicosi può manifestarsi con un quadro di polmonite focale (soprattutto in pazienti con CD4 > 250 µL) o nei casi di severa immunodepressione

con un quadro di infezione disseminata (meningi, cute e tessuti molli, articolazioni, muscoli, etc.).

La diagnosi si basa su esami sierologici oppure sull’esame colturare ed istologico da prelievi bioptici.

La terapia prevede l’uso di azoli (fluconazolo o itraconazolo) in associazione, nei casi più severi all’anfotericina B liposomiale.

La durata minima della terapia è di 6-12 mesi e comunque può essere sospesa, nei pazienti in cART solo in caso di viremia non rilevabile, di CD4 > 250 µL e non evidenza di malattia attiva.

CANDIDOSI TRACHEALE, POLMONARE ED ESOFAGEA

La maggior parte di queste infezioni è causata da C. albicans sebbene anche specie di C. non-albicans (C.glabrata, C.tropicalis, C.krusei) siano state descritte.

La candidosi, soprattutto se esofagea e polmonare, è un importante indicatore di immunodepressione.

L’esofagite si presenta con disfagia e dolore retrosternale, spesso associate a candidosi orofaringea.

La diagnosi di certezza, sebbene una diagnosi clinica sia abbastanza semplice e immediate, si basa sull’endoscopia con riscontro di placche biancastre sulla mucosa esofagea che possono evolvere il ulcere.

Il trattamento di scelta è il fluconazole per 14-21 giorni.

CRIPTOCOCCOSI DISSEMINATA O EXTRAPOLMONARE

L’agente eziologico è un fungo, Cryptococcus neoformans, che nei soggetti immunocompetenti provoca una micosi abitualmente benigna, asintomatica.

Nei soggetti affetti da AIDS la malattia  può assumere invece carattere di gravità con coinvolgimento polmonare e soprattutto del SNC con una quadro di meningoencefalite.

Dall’avvento della cART l’incidenza della criptococcosi è dimunuita notevolmente e oggi la malattia si manifesta quasi esclusivamente nei soggetti con malattia avanzata (linfociti CD4 < 100 µL).

I sintomi esordiscono lentamente, nell’arco di settimane, e sono caratterizzati da cefalea, febbre e malessere generale; in un quarto dei casi si associano fotofobia e rigidità nucale.

La tosse e la dispnea sono quasi sempre presenti per il contestuale interessamento polmonare in corso di criptococcosi disseminata; il quadro radiografico mostra i segni di un consolidamento lobale e il quadro di insufficienza respiratoria può mimare un quadro di pneumocistosi.

Per la diagnosi è necessario sottoporre il paziente a puntura lombare per eseguire l’esame colturale sul liquor cefalorachidiano, l’esame chimico-fisico è caratterizzato da protidorrachia, pleiocitosi e aumentata pressione liquorale. La ricerca dell’antigene criptococcico su sangue è di solito positivo sia in caso di interessamento meningeo che polmonare e può essere presente settimane o addirittura mesi prima dall’insorgenza dei sintomi.

La terapia si divide in 3 fasi: una prima fase di induzione della durata di circa 2 settimane con amfotericina B liposomiale e flucitosina, una fase di consolidamento della durata di circa 8 settimane con fluconazolo e un’ultima fase di mantenimento con una dose ridotta di fluconazolo per almeno 1 anno per evitare le recidive.

CRIPTOSPORIDIOSI INTESTINALE CRONICA

La criptosporidiosi è una malattia intestinale, a trasmissione orofecale, causata dal protozoo Cryptosporidium, responsabile di un quadro di diarrea che, se ad andamento cronico (durata > 1 mese), rientra tra le patologie AIDS-definenti. La diarrea può essere accompagnata da nausea, vomito e dolore addominale. Il protozoo può invadere, oltre che la mucosa intestinale, anche il tratto biliare e il dotto pancreatico provocando pancreatite e colangite sclerosante. La diagnosi si basa sull’esame parassitologico delle feci. Non ci sono terapie specifiche; l’assunzione della cART e la graduale immunoricostituzione di solito portano a regressione della sintomatologia.

MALATTIA DA CMV

Il Cytomegalovirus è un herpesvirus che infetta più del 50% della popolazione umana. L’infezione/reinfezione e la riattivazione sono generalmente asintomatiche in soggetti immunocompetenti; al contrario nell’immunodepresso possono causare complicanze cliniche tali da condurre al “danno d’organo terminale da CMV”.

La retinite è la localizzazione d’organo più diffusa nei soggetti immunodepressi. La frequenza di questa malattia fino ad alcuni anni fa era elevatissima (25% dei pazienti con AIDS) e di significato prognostico negativo. Attualmente i nuovi casi di retinite o le recidive vengono riscontrate solo nei pazienti con recente diagnosi di AIDS o con marcata immunodepressione (CD4 < 50 µL).

Nei due terzi dei casi è unilaterale; può essere asintomatica o presentarsi con difetti del campo visivo e scotoma. L’aspetto oftalmoscopico è caratterizzato da focolai di essudazione retinica con emorragie retiniche imponenti, edema e vasculite senza vitreite. Se non trattata l’infezione esita in necrosi della retina.

Altre localizzazioni d’organo possono riguardare il colon, l’esofago e SNC.

La colite, presente nel 5-10% dei pazienti con malattia da CMV disseminata, si presenta con dolori addominali, perdita di peso, anoressia, diarrea e malessere; il CMV può provocare perforazione soprattutto del cieco causando un quadro di addome acuto.

La localizzazione esofagea può essere invece sospettata in presenza di odinofagia, nausea, dolore retrosternale.

Le patologie neurologiche da CMV rappresentano la percentuale minore ed includono demenza , poliradicoloneurite e ventricoloencefalite. In questi casi il paziente si presenterà spesso con febbre, letargia e confusione mentale.

La diagnosi si basa sull’isolamento del virus da diversi campioni biologici (sangue, urine, prelievi endoscopici, frammenti bioptici, etc) mediante PCR, antigenemia e colturale.

La rilevazione quantitativa dell’antigenemia del CMV o del DNA nel sangue periferico può essere molto utile perché una presenza di carica virale elevata o in aumento è spesso altamente indicativa di malattia invasiva.

In caso di retinite si può eseguire un prelievo dell’umor acqueo e valutare, mediante tecniche di amplificazione genica (PCR), la presenza del CMV-DNA.

I farmaci di scelta sono il ganciclovir o il valganciclovir e la durata della terapia è di 14-21 giorni.

Nei casi di retinite da CMV al termine della terapia di induzione è consigliata una terapia di mantenimento con valganciclovir per via orale fino a miglioramento delle lesioni oculari e fino a che  il valore dei CD4 non si stabilizzi >sopra i 100 µL per almeno 6 mesi.

MALATTIA HA HERPES SIMPLEX

I virus Herpes simplex (herpes virus umani di tipo 1 e 2, HHV-1 e 2) comunemente causano un’infezione recidivante che interessa cute, bocca, labbra, occhi, e genitali. Varianti gravi comuni comprendono encefaliti, meningiti, herpes neonatale, e infezioni disseminate nei pazienti immunodepressi.

Il più delle volte, l’herpes simplex di tipo 1 causa gengivo-stomatite, herpes labiale e cheratite erpetica.

L’herpes simplex di tipo 2 causa generalmente lesioni genitali.

La trasmissione del virus dell’herpes simplex avviene per contatto stretto con una persona che elimina attivamente il virus. La diffusione virale avviene dalle lesioni, tuttavia può avvenire anche se esse non sono evidenti.

Una volta contratta l’infezione, il virus rimane latente all’interno dell’organismo e in caso di indebolimento delle difese immunitarie può andare incontro a riattivazione.

Approssimativamente il 70% delle persone con infezione da HIV sono HSV-2 sieropositive e il 95% sono HSV-1 e HSV-2 coinfette.

Vi sono numerosi studi che riportano come le ulcere genitali, incluse quelle da herpes

simplex, rappresentino un importante fattore di rischio sia per l’acquisizione che per la

trasmissione dell’HIV e che la compromissione del sistema immunitario indotta dall’HIV porti

ad una forma di herpes genitale ulcerativa grave, persistente e ricorrente

Nei pazienti HIV positivi le infezioni erpetiche possono essere particolarmente gravi. Si possono avere esofagite progressiva e persistente, colite, ulcere perianali, polmonite, encefalite e meningite. La diagnosi delle ulcere orali, genitali e perianali è spesso clinica. Per la diagnosi definitva è utile la ricerca del virus tramite coltura e reazione polimerasica a catena (PCR) sul materiale prelevato dalle ulcere o anche su liquor cefalorachidiano in caso di meningoencefalite. L’acyclovir e il valacyclovir rimangono i due farmaci di scelta per il trattamento delle infezioni sistemiche, l’acyclovir per via endovenosa è da preferire nei casi di infezione severa e nei casi di coinvolgimento del SNC.

ISOSPORIASI

Isospora belli è un parassita intestinale ubiquitario. La trasmissione avviene per via oro-fecale.

Colpisce soprattutto pazienti con CD4 <150 µL.

I sintomi sono di solito costituiti da diarrea cronica che dura più di quattro settimane portando a stati di disidratazione e malnutrizione. La diagnosi si fonda sull’esame parassitologico delle feci e la terapia raccomandata prevede la somministrazione di trimetoprim/sulfametoxazolo.

ISTOPLASMOSI DISSEMINATA O EXTRAPOLMONARE

Agente eziologico è Histoplasma capsulatum, un fungo dimorfo molto diffuso soprattutto negli Stati Uniti.

La malattia, in genere localizzata ai polmoni e a decorso asintomatico nei soggetti immunocompetenti, può avere localizzazione extrapolmonare e manifestarsi in forma disseminata nei pazienti con infezione da HIV; in queste ultime due forme costituisce infatti una malattia opportunistica indicativa di AIDS.

La trasmissione avviene mediante inalazione di spore presenti nel terreno.

Le manifestazioni cliniche di infezione disseminata nei pazienti con infezione da HIV includono febbre, malessere, calo ponderale ed epatosplenomegalia. L’interessamento gastrointestinale e del SNC è meno comune.

Nella diagnosi di istoplasmosi disseminata risulta utile la ricerca dell’antigene polisaccaridico nelle urine, nel sangue e nel liquor. L’esame colturale su sangue, midollo osseo, campioni respiratori risulta positivo in > 80% dei casi ma il microrganismo necessita di settimane per crescere ed essere isolato.

La terapia si basa sulla somministrazione di amfotericina B liposomiale (3 mg/kg/die) per via endovenosa per circa due settimane seguite da una terapia orale con Itraconazolo (200 mg ogni 8 ore per i primi 3 giorni, poi 200 mg ogni 12 ore) per i successivi 12 mesi.

Nei pazienti con meningite accertata l’amfotericina B liposomiale va continuata per via endovenosa per almeno 4-6 settimane.

TOXOPLASMOSI CEREBRALE

L’infezione da Toxoplasma è diffusa in tutto il mondo ma nella maggior parte delle persone immunocompetenti decorre in maniera asintomatica. Si tratta di una zoonosi, cioè di un’infezione trasmessa agli uomini dagli animali. Il toxoplasma Gondii, che è un protozoo, è in grado di infettare tutti i tipi di mammiferi ma l’ospite definitivo è rappresentato dal gatto, il quale, una volta infettato, elimina le cisti con le feci. L’uomo si può infettare mangiando carne parassitata da queste cisti (se cruda o poco cotta), verdure contaminate o direttamente per contatto diretto con gatti.

Nell’uomo che ha contratto l’infezione, il sistema immunitario riesce a controllare il parassita attraverso l’immunità umorale e cellulo-mediata; questa risposta però non è in grado di eliminare completamente il patogeno, il quale è in grado di “annidarsi” sotto forma di cisti in alcuni tessuti, principalmente muscoli e cervello.

Nelle persone affette da AIDS, nelle quali l’immunità cellulo-mediata è gravemente compromessa, il Toxoplasma è in grado di riattivarsi e dare origine a delle lesioni ascessuali localizzate in varie parti del cervello.

La neurotoxoplasmosi è la patologia opportunistica che più frequentemente interessa il SNC nei pazienti affetti da AIDS.

I pazienti più a rischio di neurotoxoplasmosi sono quelli in cui la conta dei CD4 è < 50 µL.

Il quadro clinico può esordire in modo subacuto con febbre e cefalea o in modo improvviso con comparsa di segni neurologi focali quali crisi convulsive, deficit motori oppure con uno stato di coma.

La TC encefalo mostra tipicamente delle lesioni, più spesso multiple, ipodense, circondate da un tipico anello più chiaro; spesso si associa un’area di edema attorno alle lesioni che comprime le strutture circostanti provocando sintomi clinici.

Spesso le lesioni sono situate nei gangli della base.

La ricerca del patogeno mediante PCR su liquor prelevato dopo puntura lombare è altamente specifico.

Nei casi dubbi, per esempio nel caso di lesione singola (più frequentemente presente nel linfoma cerebrale primitivo) può essere necessario un esame istologico mediante biopsia cerebrale.

La terapia si basa sulla somministrazione di sulfadiazina associata a pirimetamina e acido folico per contrastare la mielotossicità indotta da pirimetamina.

Regimi alternativi includono clindamicina, atovaquone o trimetoprim-sulfametoxazolo.

La durata della terapia è di 6 settimane, se si assiste a miglioramento clinico e radiologico; in caso contrario la durata può essere prolungata.

Dopo la terapia di fase acuta deve essere iniziata la terapia cronica di mantenimento

Quasi sempre i pazienti con neurotoxoplasmosi hanno IgG anti-toxoplasma positive; l’assenza di IgG rende la diagnosi poco probabile anche se non impossibile.

Nei pazienti con IgG anti-Toxoplasma positive e con conta dei CD4 < 100 µL è indicato l’inizio di una profilassi con trimetropin-sulfametoxazolo 1 cpr/die (indicato anche per la profillassi primaria della pneumocistosi).

Tale profilassi primaria può essere interrotta nei pazienti che assumono cART e in cui il valore dei CD4 sia > 200 µL per 3 mesi consecutivi.

WASTING SYNDROME

Questa condizione è caratterizzata dalla perdita involontaria di > 10% del peso corporeo associata a diarrea persistente (da più di un mese), malessere e/o febbre senza altra possibile eziologia infettiva.

L’unica terapia valida è l’assunzione regolare della cART.

LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE PROGRESSIVA (PML)

È una cerebropatia ad evoluzione subacuta causata dal polyomaviru JC; questo virus determina infezioni asintomatiche (per lo più nell’infanzia) e rimane poi latente nel polmone, nel rene e nel sistema monocito-macrofagico. Quando si stabilisce una riduzione della risposta immunitaria cellulo-mediata o umorale il virus inizia a replicarsi e si diffonde per via ematogena raggiungendo il SNC. A livello cerebrale si replica negli oligodendrociti provocando morte cellulare e demielinizzazione. Poiché le lesioni sono limitate alla sostanza bianca, la malattia viene classificata come leucoencefalopatia.

Le manifestazioni cliniche iniziali consistono in disturbi del linguaggio, della visione e dell’apprendimento; entro 3-6 mesi compaiono deficit motori e sensitivi.

Febbre e cefalea di solito non fanno parte del quadro clinico.

L’esame con TAC o RMN evidenzia focolai di ipodensità della sostanza bianca che non si modificano dopo somministrazione di mezzo di contrasto.

La malattia va differenziata dalle altre infezioni opportunistiche e dalle neoplasie.

Il corteo sintomatologico associato alle immagini radiologiche possono condurre ad una diagnosi presuntiva di PML sebbene la diagnosi può essere posta soltanto con l’esame del tessuto cerebrale ottenuto mediante biopsia.

La reazione polimerasica a catena (PCR) consente di identificare nel liquor il genoma del JC nell’80% dei casi circa.

Non esistono terapie specifiche, nei pazienti che non sono ancora in terapia, la cART deve essere iniziata immediatamente.

SARCOMA DI KAPOSI

Il sarcoma di Kaposi è stato per molti anno il tumore di più comune riscontro nei pazienti HIV-sieropositivi. Dopo l’introduzione della terapia antiretrovirale la prevalenza di questa neoplasia si è ridotta a meno dell’1% dei pazienti con AIDS; la sua diffusione privilegia alcuni comportamenti a rischio, come l’omosessualità. È un tumore della pelle causato dall’infezione da parte dell’herpesvirus umano di tipo 8. Inizia generalmente come una piccola area non rilevata della cute e delle mucose di colorito bruno, rosso o violaceo, che evolve in poche settimane o mesi in noduli o placche. Le lesioni cutanee possono acompagnarsi a lesioni di organi interni (milza, fegato, linfonodi, mucosa orale e gastrointestinale). L’aspetto tipico delle lesioni suggerisce la diagnosi che va confermata con biopsia in cui viene rimosso un campione di tessuto cutaneo da esaminare al microscopio. Di solito si eseguono altri esami quali la TAC del torace e dell’addome per verificare la diffusione del tumore. Nella maggior parte dei casi, la sola terapia antiretrovirale è efficace nel controllare il tumore; la terapia specifica è indicata nelle lesioni che causano problemi (per esempio nella deglutizione o nella deglutizione); in questi casi è indicata la radioterapia e la chemioterapia.